Incise nella sabbia furono le parole di uno spirito mortale. Esse erano intrise di significato ma sfortunatamente pronte a giungere nel dimenticatoio. Scomparvero in un istante, trascinate via da un’onda lunga che spumeggiante le rapì.
Tendendo le orecchie sarà possibile scorgere l’eco lontano di un commuovente lamento: un’ultima manifestazione, un’ultima dichiarazione…
Mormorando favole d’abbandono scorrerà in lontananza un’ombra dai contorni vaghi e familiari che voltandosi, come piume nel vento, spiegherà ad un animo marchiato come giungere alla salvezza.
Nient’altro che un cinico delirio folleggiante e maldestro.
Questo è l’epilogo di una storia scritta da se, il reale abbandono di quel fremito autunnale che spesso alla sera coglie impreparati i mortali.

Ricordo il suo volto chiaramente, era candido delicato come un bocciolo. Su di esso figuravano degli occhi color dell’oceano dal taglio grande ed ingenuo come quello di un bambino, si trattava di purezza e nulla più.
I capelli fluenti e pallidi sembravano raggi di luna ma con il tempo scoprii che si trattava di un biondo cenere molto chiaro e più volte mi corresse in quella sua dolce modestia.
Si sa, le insidie del mondo sono molteplici, e solo chi da bambino osservava il mondo a testa ingiù può capire il suo senso stretto. Tutto crescendo acquisisce un aspetto diverso, anche il tempo, ma a differenza della convinzione aristotelica io credevo che l’essere umano possedesse intrinsecamente la caratteristica del sapere.
Desideravo confidarmi ma non potei farlo.

Ora, steso supino e morente i un lago di nebbia rimpiango quei giorni ed assolvo il mio spirito dai ricordi latenti. Ancora ne scorgo i contorni e soffrendo immagino come il declino porterà via il mio Angelo.

Folleggiante e maldestro si agitò. Comparve quasi insensato tra le foglie di stella e Rampicante si avvolse minuziosamente tra le alte mura circostanti. Piccolo e bisbetico cipiglio.
Incurante dell’oscuro presagio lo lasciai penetrare nei giardini curati, inconsapevole della tremenda malattia che presto infettò le rigogliose chiome partendo dalle viscere. Le vidi avvizzire su loro stesse in un tempo ridotto.
Chiuse ermeticamente come ricci in letargo. Fragili, deboli, colte alla sprovvista dai parassiti orgogliosi.
Lo vidi strisciare con sensualità sull’arida landa dopo aver pernottato. Così, il Seme della Discordia, germogliò pur non volendo, desideroso di un giaciglio morbido dove affondare, levandosi verso l’alto.
Labbra fine ed invitanti si schiusero per poter mostrare il roseo organo: le umettò.
Occhi vacui e fissi sulla sua sfida.
Dovetti chiuderli poiché venni avvolto da un profondo tremito, estatica rappresentazione di un’arte oramai in disuso, e poi potei finalmente assaporare ciò che quella debole essenza profetizzava.
Foglie sanguigne volteggiavano in un autunno artificiale.
Là, in quella landa desolata, teatro delle mirabolanti acrobazie dell’uomo, venni sopraffatto con ardore.

Ricordo ancora quel suono ovattato e leggero che viaggiava sinuoso nell’aria quasi come se non fosse di questa Terra. Esso proveniva da delle mani di porcellana che tese mollemente nella loro plastica figura danzavano sino a formare archi nel cielo notturno.
Una voce d’angelo ne seguiva freddamente, atona ed asessuata si espandeva a macchia d’olio tra queste fibre inesistenti, ed era alla ricerca di una motivazione divina proveniente da quel Dio oramai morto, racchiuso in una prigione fatta di cristallo.
Odo ancora il vociare lontano, il canto del vento e delle Silfidi, mentre cade. Cade la stella dall’alto dei Cieli e per dispetto rende il suo passato disprezzabile esempio di un futuro migliore. Brillante e mai offuscata, nella sua leggiadra bellezza, ispira e muove le membra umane.
Dettando per loro una storia, un filo logico che essi seguiranno senza obiettare, inutili oggetti che manipolano altre illusioni.
Il Cacciatore di Sogni è solo la rappresentazione dell’essere umano meno diffuso, colui che silenziosamente, nella sua vita da eremita vaga per cercare ciò che mai troverà.
Lacrimante speranza.
Figura irrisolta di un enigma.
Ancora posso scorgerne i vaghi contorni e tremante attendo.
Attendo la fine di questo delirante destino.

In una mattina autunnale, colto dalle foglie sanguigne, il Cacciatore di Sogni correva nella fugace brezza.
Era cullato dalle sue false speranze fatte di un tessuto paradossale ed invisibile.
Egli si premurava di selezionare con cura estrema quella nebbiosa presenza rilasciata dalle Succubi.
Sensuali mani ultraterrene che si preparavano ad accogliere il mondo nella sua prismatica essenza.
Cacciatore di Sogni che persegui, saltellando, delle false speranze sappi che qualcuno, narrando la tua storia, s’innamorerà di te: reietto dell’Universo.
Le persone non si comprendono, cozzano nel loro vagare repentino come atomi in una gabbia di cristallo, masse gassose ed indefinite che rischiano la collisione.
Mai saremo compresi dal prossimo e mai il prossimo sarà compreso da noi, così come io non sarò da te apprezzata Cacciatore di Sogni e viceversa.
Il mondo e le persone possono riservarci solo apparizioni fugaci, fittizie rappresentazioni di una comprensione rarefatta.
E’ ovvio che sia così, infondo per il prossimo sia io che te non siamo che una parentesi fatta di polistirolo mentre tutte le convinzioni che abbiamo creato non sono che castelli di carta.

Ticchettando amabilmente su denti di lucente color avorio incido. Sono desideri decadenti ed incontrollabili: chiazze porpora.
Solo in un portale giada vi saranno i fugaci riflessi di vite strappate malamente dal loro involucro di seta filata da un lapislazzulo: impossibile sogno indaco.
Non voglio vedere il mio volto marchiato e deturpato, coperto ed avvizzito nel candore giovanile, sotto la pelle tonica che freme.

Sensazione afrodisiaca che si cela dietro voluminosi petali color del sangue pulsa nel petto come se incarnasse la Natura stessa. Si tinge e si svela per il tempo che fu, celando tristemente il suo scheletro paffuto. Avvolta in un baco freme per essere liberata e ad occhi chiusi attende pazientemente l’altrui declino.
Candido specchio color delle tenebre la cui superficie corposa rifugge.
Questo è il segreto che si cela in un letto di neve macchiato di porpora e attorniato dall’ebano.
Lamiera.

Mangiami, logorami dentro straziando le mie viscere e privami della concezione di presenza poiché continuando a camminare incessantemente su questa sporca ed immonda terra io verrò contaminata sino in profondità. Non vi è acqua che tanga, non vi è posizione ne frase che possa purificare il mio essere lentamente corrotto. Sin nel profondo, lungo le membra e nella testa sento scorrere ciò che immancabilmente dovrò evitare di narrare. Non posso parlare d’inconsistenza sorridendo al mio pubblico fatto di fantocci e feticci. Un paradosso immateriale, una speranza soffusa e tanta sensibilità nascosta, avviluppata in un cencio pallido. Pervadimi come lama tagliente e recidilo, recidi con foga quel nervo che mi mantiene in vita sull’orlo di un precipizio oscuro. Fai in modo che solo l’immenso calore dell’oscurità possa coccolarmi rendendomi viva in un mondo non mio, priva di ricordi, cullata nelle acque paradossali ed inesistenti di un lago profondo quanto l’immensità.
Uccidimi con decisione e proteggi con altrettanto ardore. Rendimi viva e morta al contempo, fammi tua senza abbandonarmi mai poiché di falsità ne è pieno l’abisso quanto l’esterno del cielo. Aiutami a sopravvivere, aiutami a dimenticare, depenna dalla mia esistenza ciò che mi rende fragile e sofferente, dammi una nuova speranza.
Vorrei solo galleggiare nell’indefinito vortice poiché oramai le mie mani sono giunte al capolinea come i miei pensieri privi di parole e sentimenti. Sono sporche e storpie come me.