Aldilà dello specchio si muovo immagini speculari a quelle del mondo reale ed è difficile capire la dove si sofferma la fantasia per dei brevi istanti traviando così la giusta e razionale definizione di ciò.
E’ ironico come quei segni, giorno dopo giorno infestano la lustra superficie.
Non vanno via, si ripropongono ed è molto tempo che io non mi mostro per quel che sono dinnanzi ad essa.
I miei occhi non si specchiano e non si muovono ripetutamente cercando nella loro fissa sembianza il termine della sofferenza.
Vorrei vedere l’inferno attraverso due parallele rappresentazioni dell’infinito.
Gelide braccia che con calore tediano la mia psiche tra rovi perenni.
E’ inverno e tutto tace, solo un’esterna attenzione dovrebbe suscitare in me del terrore ma non accade, solo un desiderio, solo un desiderio nella follia perpetua, dietro lo specchio, nel suo mondo, tra i colori purpurei: amami.

Solo e vulnerabile come un soffione ai margini di una strada continuo a vivere, forse rigoglioso, sotto i raggi luminosi dell’estate, ma terribilmente in bilico tra il finito e l’infinito. Il ricordo non potrà divenire una fievole parentesi ma i segni distintivi riecheggiano nella mia memoria con colori sgargianti, simili ad urla disumane, continuano a tormentarmi al punto di portarmi a desiderare unicamente la loro fine. Straziato galleggio per il mondo e, sotto le intemperie dell’inverno, lascerò che le mie ferite divengano più consistenti quando la pioggia battente e il vento gelido trascinerà via i miei arti. Questa è una solitudine artificiale nata dalle azioni che il prossimo esercita su di me giorno dopo giorno.
Vorrei essere una persona degna di nota anche quando il mondo non incentra me come figura portante, il rispetto non dovrebbe essermi negato così.
Vorrei poter dimenticare tutto, anche il tuo nome, Sofferenza.

Non riesco a comprendere come è possibile provare certe sensazioni tanto degradanti: la tristezza che assale e logora per delle cose tanto misere di importanza elevata.
Del mio passato ricordo poco e niente, del mio futuro non so in egual modo niente e del mio presente posso solo dire che si tratta di una situazione spiacevole tanto quanto passeggera.
Oggi, dopo ieri e prima di domani, sono ugualmente una figura nel vento.
Non eccello in niente, sono una persona tra tanti, non riesco neppure a darmi un volto che non sia rinnegato come questo.
Sorridere o piangere sono espressioni di sentimenti e se i sentimenti non esistessero saremmo immutabili ( ? ).
Sapere di essere superati o quantomeno affiancati è degradante.
Non concepisco come si può essere unici in un mondo di unità.

In contrappeso noto come un trapezista sfida il cielo camminando in perfetto equilibrio sul confine che segna l’infinito con il finito -senza aggiungere inutili giri di parole sappiate che è caduto-.

Se solo potessi reinventarmi lo farei, prenderei tanti piccoli tasselli dalle perfette fattezze e li unirei dando vita ad un unico e grande puzzle, un puzzle perfetto e privo di ammaccature. Prenderei un volto gentile, prenderei degli occhi chiari, prenderei una voce d’angelo, prenderei un corpo snello… mi reinventerei come posso ma purtroppo posso solo idealizzarlo. Io sarò sempre l’essere imperfetto che sta ora parlando, un essere assolutamente orribile in ogni sua forma.
Abbattetelo.

In una foresta sovrastata da nubi uggiose ritroviamo poesie d’altri tempi, un luogo di comunione e supplizio, teatro di mormorii e menzogne la dove una fanciulla dalle guance di mela giocava.
Occhi luminescenti attorniati da curve ciglia color dell’ebano si posarono fugaci sul caldo raggio birichino che fece la sua comparsa tra nuvole di marzapane.
Racchiuse in un gesto la sua freschezza e schiuse i petali sussurrando una ninna nanna che terminò al calar del Sole.
Nascosta dal drappo cenere, la Luna pianse vendendo correre via la giovinezza perduta.
La osservò silenziosamente da dietro un tronco lasciandosi cullare dal tremore delle fronde e scoprì che nessuno mai avrebbe conosciuto il suo segreto se non fosse stata Ella stessa a rivelarlo.
Si cucì le labbra con rosso sangue e danzando si adagiò solo al mattino.

E’ sorprendentemente ironico lo spirito dell’essere umano. Tende a tingere l’esistenza con svariati colori mentre ne predilige uno soltanto. Tutto ciò serve allo scopo ultimo di una redenzione inesistente, scontro tra pensieri e particelle, nulla più.
Fuggevole e poetico come una voce lontana, atto puro ed incontrastato.
E’ quasi indescrivibile. Penso che nel mondo vi siano tanti tipi differenti di persone, muti manichini dallo sguardo vacuo, piccoli parassiti di una realtà distante fatta di soffice marzapane e sangue rappreso. Dall’innocenza all’abisso è un attimo.
Piccola parentesi passeggera e momentaneo fremito. Sto narrando come un tempo di gesta sperdute, unico ammasso sostanzioso di rivelazioni composte e nascoste. Una parola o forse più, è tutto un fattore d’interpretazione dal melodico sottofondo.
Non saranno mai comprese queste parole ne le spiegherò, gradirei soltanto che una persona nel mondo potesse sentire attraverso una voce fievole cosa vi è celato.
Mormorio sconnesso.
La confusione è la vera balia del mondo.

La mia realtà è composta da tanti piccoli tasselli che giungono, uno dopo l’altro, a formare un grande mosaico dalle tinte fredde e deprimenti. Si tratta di volti, semplici maschere cesellate, placcature che aderiscono alla pelle lacera e sanguinante, sorrisi di cera pronti ad essere sciolti dalle fiamme.
Un mondo là dove le lacrime stagnanti servono a lenire la sete di sciocchi innocenti e non cadono più dagli occhi stanchi del Padrone… un mondo abbandonato da Dio.
In una terra arida posso osservare il repentino mutare, brulicante sensazione di possessione e tenera vicinanza. Odo il Gelo cantare, adornato da cristalli finemente lavorati e riflessi prismatici.

Osservando le mie mani vedo un cuore menomato, schiavo e logoro di una passione ultraterrena. Nel tormento della sera preferisco rimanere in silenzio lasciando che i pensieri fuggano e s’incidano nella carta come memorie funebri sulla pietra fredda. Ho il ricordo di ere lontane, un ricordo non mio che sostanzialmente non esiste. Sogno, come un bambino dinnanzi ad un braciere in una notte d’estate ed interrogo la mia essenza quasi come se giocassi a batti muro in una partita la dove ne vinti ne vincitori esistono.
La schiacciante esistenza di un male che pulsa, l’argine di un presagio strozzato racchiuso in una sensuale Vergine d’acciaio.
Lode a te mio Signore del Nord.
Effimero, come una folata di fumo nel vento che sale tra le nubi vaghe e il battito d’ali di uno stormo nel cielo, io cado: foglia autunnale. Si sa, le insidie del mondo sono molteplici, e solo chi da bambino osservava il mondo a testa ingiù può capire il suo senso stretto.