I pensieri non hanno lingua e possono essere più ridicoli di quanto credi… indelebili ed immutabili si formano e fluttuano nel vento come fumo al mattino. Sensazioni ed intenzioni. Solo magiche parole simili a lacrime soffuse in una sera svanita. Mormorando consigli al tempo su come scorrere risulterò infantile nell'incomprensione e morirò cantando una canzone.

Non riesco più a scorgere il volto della Luna:
pallido, lontano ed offuscato dalla nebbia della sera oramai diradata.
Non riesco più a scorgere il volto della Luna:
ribelle, pieno e sensuale, immerso in un latte artificiale.
Non riesco più a scorgere il volto della Luna:
poiché la purezza ha abbandonato le mie membra stanche nel loro crepuscolo,
poiché la mia gioventù ha raggiunto il suo capolinea,
poiché la ricerca è oramai terminata.
Sarebbe stato bello vivere disegnando arcobaleni nel cielo…

È atroce soffermarsi a pensare a cosa si cela dietro il soffocante urlo del silenzio in una notte rinnegata, fatta di deboli fragranze e luminose stelle cadenti.
Esse ardono con foga nelle altrui espressioni .
Provocare e reagire.
Inconscio delirio di una mente egoista spinta alla sopravvivenza da fili invisibili e strade già percorse. Andatura lenta.
Sembra quasi una richiesta d’aiuto rappresentata s’una foto color seppia.
Si affollano e tu -misero verme- desideri solo farli tacere, così, con un semplice gesto.
E come d’incanto pelle cerea e volto incavato.
Putrida mente racchiusa in un corpo di perla che mostra lentamente la sua fatiscenza.
Preoccupante ed immota speranza che langue nelle profondità del suo ventre.
Raggela le mie carni e cibati dei miei ricordi.
Rendimi una bambola fredda e muta, incapace di provare inutili sensazioni.
Liberami e rendimi prigioniera della tua magnificenza.

Lo odo e mi pare di riconoscerlo come un debole sussurro nella notte che con dolcezza s’insinua nella mente per portare con se un lieto sonno.
Un desiderio comune disprezzato dagli opposti, è così che va avanti il mondo, liberandosi delle nullità più coraggiose e vomitandone altre un po’ meno tenaci.
Egoistico gesto tra spasmi e contrazioni.
Lenta e sensuale, un colpo, uno sparo e poi tutto ancor più privo di significato.

Immobile in questo cereo presagio di abbandono, cullami con nostalgica premura.
Sentii una mano sfiorare candida la mia spalla e voltandomi vidi il nulla.
Eterea brezza estiva.
Continua a pulsare in me quel cuore immondo abbigliato a festa, e la consapevolezza scuote il mio essere poiché il dilemma è l’apparire.
Ossessione sconosciuta e dubbi celati che battono ritmicamente nella mia testa sino a farla scoppiare.
Io provo, io sento, io odo…
Toccami.
Così la mente s’invase di folli melodie e voci sovrapposte, dalle quali emersero delle risa lontane.
“Così, così va bene.”
E si allontanò danzando negli abissi di un lago sanguigno.

Godere per qualche istante di una vendetta non consumata e bere dal calice della follia ostentando una calma quasi glaciale nascondendo un’ossessione fulminante. Logora lenta le viscere e si chiama rabbia.
Ticchetta nel medesimo punto come un chiodo appuntito spinto con foga nelle carni sofferenti.
Delusione e disgusto provocano un desiderio assestante di morte.
Vorrei ucciderti, si, mi appagherebbe così da non poter più udire le tue sporche parole: menzogne.

Sono belli e forse anche un po' magici, quei fiori che, un po' come me, celano la loro bellezza ai raggi solari per splendere la notte come stelle d'estate.
E mi piacciono sempre di più, forse deviati tra sapore di mentolo e sirene lontane, sperdute in un mare sconosciuto, ai confini di un'isola deserta.
Pelle d'angelo marchiata dal peccato: grida.
Vivono di sogni ed i sogni si nutrono di loro.

Lontano e morente giace il mostro. Il desiderio è intrinseco, plasmato unicamente nelle membra, le quali sono mollemente distese sulla lastra gelida e solitaria nel giardino fiorito: esso si muove come un esoscheletro e la figura comincia danzare quasi fosse una dolce ballerina di un carillon stonato. La sento repentina e sinuosa, la voce che continua a narrare della storia interrotta. Parla di sorrisi mai visti dalla curiosa forma lunare, di nivea pelle delicata e guance rosate.
Un sogno lontano che si avvicina, muovendosi coscienziosamente.
Il piacere lontano che, come un turbinio, fugge in una dimora sicura mentre abbandona nel suo cammino povere indecisioni.
Anche io voglio parlare di fate dai denti aguzzi che cantano e muovono i loro arti come manichini rotti: richiamo per la perversa disposizione altrui.
Lontano e morente, non lo sento nelle vene. Lontano e morente.

Un volto come un altro, creato da mani, fatiscenti è stato avvolto da una ceramica pallida quasi come se fosse una gabbia, una trappola di metallo che avvolge il brulicante aborto.
Nelle cantine umide è solo, attorniato da verità fatte di specchi che osservano e ridono, metodiche ripetizioni di gesti già vissuti. Ed è così che disperato, cresce e diventa forte al di sotto della grandiosa resistenza della ceramica.
Parliamo di un figlio mai desiderato, abbandonato e plasmato, ma plasmato non va bene e la cattività logora la sua natura, esponiamolo al mondo per ciò che è. Non va bene neppure questo.
Il suo volto non è fatto per piangere, anche se dentro di se il vaso è colmo di disperazione.
Fu così che un giorno le sue piccole membra si mossero sino a fuggire.
Su per le scale e nell’aria esterna, lungo un verdeggiante prato ricoperto di colori felici. Ci si sente più sporchi quando tutto attorno a noi è pulito.
“Voglio sporcare tutto.”
Era come una litania, ripetuta incessantemente mentre correva, e spasmodicamente uccideva.
Tutto, tutto deve perire, morite tutti così da non intaccare la mia eternità, morite affinché io possa divenire il fiore più bello, l’unico fiore del mondo.
Morite.

Conobbi la curiosità in sogno, poiché si sa che in tale ambito il bambino recluso che corrisponde ante a noi stessi: fugge. Ricordo dunque piccole mani dalle dita tese -e forse un po’ in carne- che scostavano una pesante tenda di velluto insinuandosi in un corridoio oscuro, privo di luci, sino a scorgere numerose porte tutte uguali.
Dietro una di esse vi erano delle donne abbigliate e prigioniere, prive di mani e di orbite,battevano spasmodicamente i loro moncherini contro la lustra superficie dl pavimento e rompevano mobili con forza animale. Ma i loro occhi vuoti videro le due infanti, videro scarpine di vernice e calze color latte.
“Sono loro le fornicatrici maledette!”
Gelosia gridò inseguendole. Presto però vennero catturate da una bellezza fori dal mondo e restarono immobili ad osservare il loro padrone: Egli regalò ai loro polsi esili dei bracciali dorati facendo spalancare di stupore lo sguardo alle giovani proprietarie, successivamente sorrise e porse loro un cofanetto colmo d’oro,
“Toccatelo, baciatelo, è per voi. Fatemi vedere come gradite il mio dono.”
Lo fecero. Illusioni della mente che portarono via le mani e la bellezza in boccio dal loro volto.
Il cofanetto distrusse la loro pelle con monete ardenti e i bracciali strinsero sino ad uccidere le povere mani.
Prigioniere di un destino senza tempo, abbigliate come principesse.