Candido e sensuale battito, vibrazione di un’illusione, mera espressione della singola inconsistenza dettata dalla sola conoscenza del perpetuo Pantarei . Improvvisamente è mio questo divenire, fonte di ogni giorno e gioia indiscussa, libero dalle pulsazioni, singolo esempio di magica trasmissione, canto incrociato e sogno che avvampa sulle gote di un angelo oramai sussurrato.
Macchia.

Aveva tutto un suo ritmo, una cadenza singolare ed accattivante simile al periodico rovinare di gemme. Rugiada che debole scivola lungo il palmo verde, nel pieno del mattino, quando l’alba sorge e si getta spontanea sui corpi dinnanzi a se, masse semplici e formate da inutile materia, eppure cos’è un suono se non estensione della stessa massa?
Si specchiò rimbalzando sulle membra mollemente distese, chine sul proprio giaciglio in maniera scomposta quanto rassegnata, quasi universale e primaria. Era avvolto dalle lenzuola candide, compassionevole dei luminescenti raggi lunari che non potevano più sfiorare il suo viso poiché dimenticati dal raggiante Astro.
Questa è la mia melodia, composta per il suo risveglio, delicata come i suoi occhi, candida come la neve e forse inappropriata come le note di cui è composto questo scritto.

Era come se un battito ritmato coprisse ogni suono rendendolo ovattato e tenue come il candore della Luna là dove si specchia la follia. Essa è fatta di piccole note ripetute con una cadenza penetrante, penetra nella mente e la rende schiava di ogni sensazione inconsistente, dei ricordi e dei rimpianti, si adagia come una piuma candida sul suo letto fatto di tasti e sinfonia e continua a scandire il tempo che imperterrito pare essersi bloccato. A conferma di un tale fatto vi è una chiazza, troppo scura e corposa per essere semplicemente una macchia, ma con vesti d’oscurità avvolge l’osservatore nella sua insostenibile leggerezza di pensiero là dove risiede ciò che oramai è pensato. Tutto si dissolve in una riga immateriale priva di fine, seguita dallo sguardo di un bambino imprigionato nel suo girotondo inesauribile.

È possibile rabbrividire per delle parole che non si conoscono, lasciare che il Sole sorga sui cadaveri della Memoria, seppellendoli sotto profonde sfoglie di rammarico. Non ci è negato d’odiare l’ignoto ne ci è preclusa la possibilità d’indagarlo con mezzi abissali ed inaccessibili ma allora perché la sensazione che provo in questi attimi è pari a quella di una caduta?
Non lo vedi quel precipizio che ho dinnanzi?
Oramai rinnego colori che non conosco -omogeneo pensiero- e tutto deve essere perfetto per brillare più di me in un cammino senza sosta su dei mattoni cotti dall’Astro.
Ho scoperto la forma, le parole e le immagini di un mondo che non ricordo, un breve lampo nel quale nulla di me si rispecchia se non scatti improvvisi.
Continuerò a chiederlo in eterno per ottenere quella risposta che non possiedo:
“Di che colore è la felicità?”
Se potessi toccarla renderebbe sorde le mie orecchie.